Uno psicologo accusa i social: «Ci fanno diventare stupidi». Stanno logorando anche voi?- Corriere.it

2022-05-28 07:28:05 By : Ms. Nancy Yao

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L’umanista Jonathan Haidt sostiene che anni di polemiche, bullismo e disinformazione online hanno minato la democrazia e la nostra salute: il chiasso di pochi silenzia la “maggioranza esausta”, non c’è spazio per la discussione ma solo per la divisione fra buoni e cattivi. Come rimediare? Rendersene conto è già un passo avanti

Questo doppio articolo, pubblicato su «7» in edicola il 27 maggio, fa parte delle puntare della nuova rubrica del magazine del Corriere «Due punti». Intesi come due punti di vista che qui troverete pubblicati online in sequenza: prima l’articolo di Chiara Lalli, poi quello di Anna Maldolesi. Buona lettura

Come siamo diventati nel giro di pochi anni di social? Secondo Jonathan Haidt, il famoso psicologo morale, molto più scemi. Non è un articolo luddista il suo, uscito ad aprile su The Atlantic e intitolato «Perché gli ultimi dieci anni di vita americana sono stati straordinariamente stupidi» , ma un’analisi dei meccanismi che hanno solleticato e poi fatto esplodere caratteristiche molto umane. L’ottimismo tecno-democratico nato con l’Internet è finito . Chi ha familiarità con i social e con i pulsanti “mi piace” e “condividi” ci troverà la descrizione del tempo passato a mettere like e a condividere spesso senza leggere. Gli altri avranno l’impressione di leggere un trattato di antropologia su una popolazione un po’ stramba.

NEL 2013 È STATA INTRODOTTA LA POSSIBILITÀ DI CONDIVIDERE E RITWITTARE. «COME DARE UN’ARMA A UN BAMBINO DI 4 ANNI»

Il 2013 è il culmine del cambiamento perché la possibilità di condividere e ritwittare modifica per sempre la modalità di stare sui social. E gli algoritmi premiano quello che piace e quello che piace è quello che infiamma. Uno degli ingegneri del retweet ha poi scritto che era come dare un’arma a un 4enne. Milioni di 4enni armati, che cosa potrà andare storto? Attenzione: i bambini sono moralistici, incapaci di mediare e privi di mezzi riflessivi (sono bambini, appunto). E la democrazia è un sistema fragile e che può sopravvivere grazie a meccanismi di aggiustamento per calmare gli animi, trovare compromessi, togliere alla giustizia l’intento vendicativo, evitare giudizi sommari. Che è la descrizione dei social.

BIO-ETICA DOMANDE &RISPOSTE - OGNI DUE SETTIMANE CHIARA LALLI E ANNA MELDOLESI SCRIVERANNO DI UN ARGOMENTO TRA FILOSOFIA MORALE E SCIENZA, TRA DIRITTI E RICERCA. DUE PUNTI DI VISTA DIVERSI PER DISCIPLINA MA AFFINI PER METODO

La democrazia non significa fidarsi ciecamente delle istituzioni, ma non può nemmeno significare spararsi addosso continuamente. Perché è vero che un tweet non uccide nessuno e che le armi del 4enne sono metaforiche, ma l’effetto molto vero è la frantumazione della stessa possibilità di fidarsi . Haidt descrive tre modi principali di questo eterno sospetto rabbioso: dare voce a troll e provocatori (ne bastano pochi per fare casino) e silenziare le persone ragionevoli; dare potere agli estremisti silenziando le maggioranze esauste (i gruppi più estremisti, sebbene piccoli, vengono percepiti come la maggioranza); e infine, forse la cosa più grave, i social media diventano giustizieri, giudici senza processo e senza appello . Se aggiungiamo l’autocensura di molti per evitare tutto questo, la coltre di stupidità copre tutto.

E se la destra tende a essere complottista e ossessionata dai traditori e dall’invasore, la sinistra corre dietro alle ombre e ha sostituito i principi liberali e i diritti con l’attivismo identitario, ha abbandonato l’uguaglianza di opportunità per perseguire l’uguaglianza dei risultati . E chi non è d’accordo con questa visione è razzista o transfobico. Non c’è spazio per la discussione ma solo per la divisione tra buoni e cattivi e per i posizionamenti morali(stici). Come rimediare? Non è facile rispondere, ma sicuramente la condizione necessaria è rendersi conto di tutto questo. (Chiara Lalli )

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Perché tanto rumore per un articolo? Numero uno: perché le tesi forti piacciono, dispiacciono, dividono, si impongono all’attenzione . Non a caso l’autore del pezzo su The Atlantic , che rimprovera ai social di premiare le posizioni estreme e penalizzare le sfumature, lo fa con toni così netti da diventare lui stesso virale. Numero due: perché la materia ci riguarda. Quasi tutti sui social ci siamo presi qualche insulto o ci siamo lasciati andare a commenti poco ponderati e in qualche momento abbiamo desiderato mollare tutto . Ma poi siamo rimasti, perché è comodo per informarsi, tant’è che forse non mi sarei accorta dell’articolo di Jonathan Haidt se non ne avessi letto sui social. E perché non essere sui social è un po’ come non esserci . Insomma in tanti possiamo identificarci in quella “maggioranza esausta” che vorrebbe contenuti e modi più costruttivi, affidabili, gentili. Terzo: perché Haidt non è un intellettuale qualsiasi. È una stella delle due culture, un umanista che ha portato la psicologia morale sulle pagine di Science e di Nature , nel regno delle scienze dure.

CHI SI OCCUPA DI SCIENZA HA UN MANTRA: “CORRELATION IS NOT CAUSATION”. E QUI IL NESSO CAUSALE NON È ANCORA STATO DIMOSTRATO

Famoso per aver dato una risposta plausibile alla fatidica domanda di Gaber (cos’è la destra, cos’è la sinistra) con la sua teoria dei cinque pilastri della moralità . Spoiler per chi non ha letto The Righteous Mind : alcuni di questi pilastri sono condivisi da conservatori e progressisti, altri meno (lealtà e sacralità pendono dalla parte dei primi). Ma torniamo al saggio di The Atlantic , intorno cui Haidt sta costruendo il suo prossimo libro. Come spesso accade alle tesi forti, offre il fianco a qualche critica. Chi si occupa di scienza ha un mantra: correlation is not causation . Ovvero notare che due fenomeni si presentano insieme non equivale a dimostrare un nesso causale . Una volta il British Medical Journal, a esempio, si è divertito a pubblicare un articolo sul fatto che i paesi in cui si consuma più cioccolato sono quelli che vincono più Nobel.

La questione dunque è: esiste un legame forte e diretto tra i fenomeni analizzati da Haidt? Lo studioso afferma che i social danneggiano la democrazia e minano la salute mentale dei giovani, perché premiano polemiche ed esibizionismo anziché la costruzione di fiducia e relazioni. Ma quando l’accademia tedesca delle scienze (la Leopoldina) ha formato un gruppo di lavoro su digitalizzazione e democrazia non è arrivata a conclusioni così nette. Diversi scienziati ritengono non conclusive anche le prove del legame tra diffusione dei social e sofferenza psicologica. Insomma: trovare dei correttivi per bullismo, disinformazione e polarizzazione online è auspicabile e urgente, ma è presto per far dire alla scienza che sono i social la prima causa dei nostri mali.

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